Il Premio Letterario Viareggio Rèpaci apre in Italia la stagione dei grandi Premi letterari del Novecento. Dopo il ‘Bagutta’, ideato da Orio Vergani nel 1926 tra le quattro mura di una trattoria milanese, il ‘Viareggio’ nasce in Versilia nel 1929 sulla spiaggia e “sotto un ombrellone” per iniziativa dei tre amici Leonida Rèpaci, Carlo Salsa e Alberto Colantuoni.
L’eletta compagnia accoglie poi Primo Conti e Gian Capo, con l’intenzione di sottrarre il Premio al chiuso dei cenacoli e di aprirlo en plein air alla libera circolazione delle idee nella società letteraria italiana. Viareggio fu scelta perché “noi fondatori intendemmo contraccambiare la bella spiaggia di quell’amore che aveva saputo accendere nel fondo di noi, da quando avevamo associato il suo nome a quello di Shelley, il ricordo di un tonfo di risacca al crepitio del rogo col quale un Poeta ritornava, dio immortale, ai puri spazi da cui era disceso per scolpire la statua di Prometeo, finalmente liberato dalle potenze e dalle presenze del Male” (Rèpaci).
Se la nascita è “avvenuta all’improvviso come nacque Venere dalla spuma del mare” (Enrico Pea nel 1938, vincitore quell’anno ex aequo con La Maremmana), la peculiare vocazione artistica dei fondatori si manifesta fin dall’edizione del 1930, che consacra la fama di Lorenzo Viani con Ritorno alla patria e di Anselmo Bucci con Il pittore volante; due pittori che erano anche scrittori, molto dissimili ma uniti da una forte tempra polemica.
La festa si apre domenica 10 agosto con il gran Ballo degli Scrittori, un’Esposizione di opere di Primo Conti e con le Diavolerie teatrali dei maggiori attori del momento: Dina Galli, Gandusio, Spadaro, Benassi, Del Pelo. Scrive più tardi Aldo Palazzeschi, premiato nel 1948 per I fratelli Cuccoli, riassumendo i tratti caratteristici di un premio tanto diverso dagli altri: “Viareggio ha un punto di merito su tutti: è stato il primo voluto e cercato dall’animo avventuroso e generoso degli artisti, avventurosi e generosi quanto più disperati. Il loro esempio è stato seguito e non possiamo che compiacercene dal più profondo del cuore”.
Leonida Rèpaci resta alla guida del Premio fino al 1935. Ricorderà più tardi: “Si può affermare che fino al ’35 il Premio Viareggio salvò in qualche modo le forme, e non riuscì ai gerarchi di padroneggiare. In seguito la mano del regime si appesantì e divenne impossibile per un uomo dignitoso mantenere una posizione, non dico indipendente, ma neppur riservata nei confronti dei fascisti zelanti, divenne impresa disperata battersi per un libro che non fosse gradito al Ministero Stampa e Propaganda.
La Presidenza del Premio arrivava a Viareggio con l’aggiudicazione già stabilita a Roma […] Ce ne andammo senza far rumore […] Poi venne la guerra e il Premio cessò” . Di fatto il Premio era passato, come sarà fino al 1939, sotto l’egida di Lando Ferretti, capo Ufficio-Stampa di Mussolini; e questo spiega a sufficienza la continua, fiera e quasi feroce battaglia sostenuta da Rèpaci negli anni a venire per sottrarre il Premio a qualsiasi influenza politica e a qualsiasi autorità che non fosse quella della letteratura, dell’intelligenza e dello spirito.
Tuttavia, negli anni anteguerra che vanno dal 1935 al 1939 passa anche un libro come Il rabdomante di Riccardo Bacchelli (1936), per il quale Rèpaci fa il tifo dietro le quinte facendo leva su Salsa e Colantuoni. Grandi nomi, già scritti da tempo nella storia della letteratura italiana, distinguono il ‘Viareggio’ degli anni 1930-1939: Lorenzo Viani, Enrico Pea (Il servitore del diavolo e Il figlioccio nel 1932), Achille Campanile (Cantilena all’angolo della strada nel 1933), Bacchelli appunto, fino a Maria Bellonci (Lucrezia Borgia nel 1939), futura fondatrice del Premio ‘Strega’.
Dopo la sospensione per la guerra tra il 1940 e il 1945, Rèpaci rimette in moto il meccanismo del Premio. I due libri premiati nel 1946 sono il simbolo della ripresa sotto il segno della Poesia e della narrativa d’impegno civile, caratterizzanti tutta la storia del ‘Viareggio’: Il canzoniere di Umberto Saba e Pane duro di Silvio Micheli. Il poeta triestino come figura dell’italianità ricomposta e della continuità del linguaggio tra passato e presente senza percepibili guasti, e il narratore come maschera dell’uomo d’ogni giorno, unico e insieme uguale a tutti nel suo dolore e nella sua fatica di vivere.
Nel 1947 sono premiate, eccezionalmente “alla memoria”, le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci. Scrive Rèpaci: “Dando il premio a Gramsci noi siamo partiti da questa considerazione: il grande rivoluzionario sardo è conosciuto dagli italiani unicamente come fondatore del Partito Comunista. Nessuno, se non i compagni che gli vissero vicino, se non coloro che ebbero modo di conoscere le sue risolutive prese di posizione sull’Avanti! torinese prima, sull’Ordine Nuovo e sullo Stato operaio poi, o di leggere il suo studio sul problema meridionale, nessuno sa quale formidabile scrittore egli sia stato” (“L’Umanità”, 28 agosto 1947).
I nomi dei premiati e dei giurati della nuova stagione sono quasi tutti entrati nella storia delle patrie lettere. La Poesia, introdotta da Saba, offre uno speculum ideale delle apparizioni di maggior grandezza fino ai nostri giorni: Sibilla Aleramo, Corrado Govoni, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Carlo Betocchi, Giacomo Noventa, Sandro Penna, Pier Paolo Pasolini, Salvatore Quasimodo, Alfonso Gatto, Diego Valeri, Giovanni Giudici, Nelo Risi, Ignazio Buttitta, Leonardo Sinisgalli, Dario Bellezza, Tommaso Landolfi, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Luciano Erba, Maria Luisa Spaziani, Vittorio Sereni, Antonio Porta, Valerio Magrelli, Raffaello Baldini, Franco Marcoaldi, Giovanni Raboni, Alda Merini, Giuseppe Conte, Silvia Bre.
La Saggistica ha grande spazio al ‘Viareggio’. Scrive Giovanni Macchia in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione del Premio: “Creato in un luogo sui generis, una città che è anche una grande stagione balneare ma inserita nel contesto culturale di una regione tra le più colte d’Europa, il Premio Viareggio anche per questi motivi non è mai divenuto un premio turistico […] E, avendo raggiunto la massima fama, non ha mai rinunziato al libero dibattito d’idee, garantito del resto dagli nomi della giuria, alcuni purtroppo scomparsi, da Concetto Marchesi a Roberto Longhi, da Giuseppe Ungaretti a Giacomo Debenedetti, da Massimo Bontempelli a Guido Piovene, a Diego Valeri.
E quale altra giuria italiana ha potuto vantare nomi altrettanto prestigiosi? A scorrere l’elenco dei libri premiati per la saggistica è da rilevare inoltre il coraggio che le commissioni hanno sempre mostrato nelle loro scelte […] Erano libri di storia politica e civile, di filosofia, di critica d’arte, musicale e letteraria; erano libri di etnologi, di specialisti di storia delle religioni, di storia del teatro e della lingua italiana, di studiosi del pensiero classico e di filologi.
E c’è davvero da domandarsi in quale altro grande premio ‘popolare’, se non quelli assegnati da Università e Accademie, sia possibile veder segnalati studiosi come Jemolo e Ernesto De Martino, Giorgio Levi Della Vida e Santo Mazzarino, Manara Valgimigli e Bruno Migliorini, che hanno scritto opere che i più credevano destinate agli specialisti, e che invece il Premio Viareggio (senza preoccuparsi del famoso interrogativo che circola nelle giurie: Ma chi li legge?) ha affidato all’attenzione di un pubblico diverso da quello cui sembravano destinati”.
In questa zona difficile il ‘Viareggio’ infatti poteva raggiungere e ha raggiunto il fine che si era prefisso: la circolazione delle idee, la conoscenza dei territori inesplorati della nostra lingua e della nostra storia per risvegliare nuove domande sul presente e sul passato, l’esaltazione del nesso costitutivo tra cultura e società.
L’elenco dei critici e dei saggisti premiati parla da solo, da Mario Praz a Sergio Solmi, da Garin a Ludovico Zorzi, da Angelo Maria Ripellino a Citati, da Massimo Mila a Gianandrea Gavazzeni e a Petrassi, da Cesare Brandi a Maurizio Calvesi e Salvatore Settis, da Contini a Giovanni Pozzi, da Manara Valgimigli a Giorgio Amendola, da Gianfranco Folena a Marco Revelli e Mimmo Franzinelli.
Così il catalogo amplissimo dei giurati, sempre uomini e donne di grande statura: Luigi Pirandello, Concetto Marchesi, Roberto Longhi, Francesco Flora, Luigi Russo, Massimo Bontempelli, Antonio Baldini, Alfredo Schiaffini, Giovanni Macchia, Maria Luisa Astaldi, Anna Banti, Giuseppe Ungaretti, Eugenio Montale, Guido Piovene, Franco Antonicelli, Giacomo Debenedetti, Natalia Ginzburg, Natalino Sapegno, Carlo Salinari, Ezio Raimondi, Roman Vlad, Manlio Cancogni, Cesare Garboli, Adriano Prosperi, Pier Vincenzo Mengaldo…
Per lunga tradizione molti premiati sono poi entrati in giuria.
L’idea iniziale del ‘Viareggio’ di premiare il migliore romanzo dell’annata ha scoperto o messo in luce narratori che hanno fatto gran parte del Novecento letterario italiano, proiettati nel terzo millennio, da Pea a Sandro Veronesi, da Gadda a Niccolò Ammanniti, da Elsa Morante a Raffaele La Capria, da Moravia a Baricco, da Tobino a Tabucchi, da Calvino (che fece il famoso ‘gran rifiuto’ nel 1968) a Ermanno Rea, da Giorgio Bassani a Roberto Saviano.