"Tu sei solo quello che riesco a pensarti": non è semplicemente l'attacco di una delle più belle poesie del libro di Renato Minore, "O caro pensiero", edito da Nino Aragno. Ma una presa di coscienza, un salto in lungo, una dichiarazione di poetica.
Questo verso vigoroso e astratto, piegato a caldo come un occhiello di ferro battuto, "Tu sei solo quello che riesco a pensarti", dimostra in realtà una tale apertura che il tusi dissigilla, si dilata, evade dal singolare, dal personale, dal ruolo di pronome. Si estende al circostante, al tempo, alla Natura, agli altri. Quel tuappassionato e solerte diventa collegiale, riguarda tutti, allude al passato, al presente e alla vita, coi suoi rintocchi e interruttori.
Del resto questo è il primo passo per ogni poeta che si rispetti. Come diceva Orazio nelle Epistole, "Chi crede in sé è già a metà percorso". Anche se Orazio pensava di sicuro a ogni creatura umana, non solo ai poeti.
Renato Minore, passo passo, è arrivato a un traguardo. Quell'attacco e questo libro sono un'inderogabile apertura di credito e insieme un bilancio spirituale ed esistenziale dalle forti radici: il tema dell'infanzia, la figura del padre, l'amore e l'incoerenza, il sapere e il patire, miti e capovolgimenti, perfino la morte in curva di Ascari, il pilota. Sì, proprio lui, Ascari il pilota. Un altro io. "Da quella fessurina", scrive Renato, "pare dipenda che io / sia proprio io e non l'altro io / che vorrei tanto esser io".
È bello chiedersi, converrete, se quella piccola fonte di luce e di comprensione, "quella fessurina", sia l'occhio che ci guarda, l'occhio col quale ci guardiamo attorno e dentro, oppure un terzo, misterioso Pensiero che neanche in poesia si può governare o stringere all'angolo. Perché, purtroppo o per fortuna, poeti o non poeti, domande del genere si mangiano la risposta.
ENNIO CAVALLI