A cinque anni dalla pubblicazione del suo notevole libro di esordio Il tempo che non muore, apparso nel 2012 presso le novaresi edizioni Interlinea con una complice nota di Luigi Surdich, Stefano Carrai affida ora alla sua opera seconda, La traversata del Gobi (Torino, Aragno, 2017, postfazione di Niccolò Scaffai), i risultati di un esercizio inventivo di singolare intensità e maturità che naturalmente lo colloca tra le voci poetiche più originali dell’ultimo decennio.
Articolato in otto sezioni precedute dalla programmatica poesia In chiave («Ora per ricomporre i tuoi brandelli | anima mia | altro | che canzoniere | ora | mi ci vorrebbe un mago | della sutura | uno | che facesse miracoli»), La traversata del Gobi inscrive in una struttura compositiva di callida nitidezza gli specimina di una tesa operazione mnestica che, nominandoli, aspira a sottrarre alla irreparabile deriva del tempo situazioni, figure, immagini, luoghi di un universo privato e pubblico, intimo e sovrapersonale, ripercorso in obbedienza a due supremi paradigmi insieme ideologici e tecnici: Petrarca e Montale (non per caso, l’uno e l’altro, tra gli oggetti privilegiati del lavoro di Carrai italianista).
Poeta coltissimo, assistito da una prodigiosa memoria letteraria piuttosto dissimulata che esibita, Carrai si affranca tuttavia dall’orizzonte del citazionismo di impronta variamente postmoderna per la forza testimoniale e l’autenticità talvolta perfino disarmata con le quali si dispone a redigere un franto, sfaccettato referto esistenziale e autobiografico attento a non confondere (giusta la clausola di una capitale composizione come Biografie) il «sangue», «secco» o «nero» che sia, con l’«inchiostro», nel segno di una irreducibile fedeltà a quella turbata dialettica tra vissuto e formalizzazione del vissuto che nel Novecento italiano ha trovato i suoi esiti più alti nell’esperienza poetica di Umberto Saba (autore particolarmente caro a Carrai, che gli dedicato una recente, importante monografia) e che Giovanni Giudici ha mirabilmente riassunto nella formula «la vita in versi».
Franco Contorbia