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Edizione 2017 - Premio Letterario Viareggio Rèpaci

Edizione 2017

Vincitori edizione

Narrativa
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La malinconia dei Crusich
Gianfranco Calligarich

Motivazioni della giuria

Occorrono troppe vite per farne una”, diceva Montale in un verso dell’Estate e La malinconia dei Crusich di Gianfranco Calligarich lo testimonia incidendo volti e fiati di tre generazioni con la sua stessa impronta mitteleuropea scolpita nel cognome. È una Trieste come Itaca il punto di partenza di un romanzo che ha lo stampo epico di un viaggio alla ricerca di luoghi capaci di lenire la cognizione del dolore, rappresentata da un destino che si tramanda come eredità, fino a diventare cifra e citazione stilistica. Nel suo lungo racconto, infatti, segnato da un fil rouge che segnala un’appartenenza anche bibliografica al passato, Calligarich mostra che la letteratura non si brucia nel remoto ma si rianima, e riprende vita grazie a una nuova sintassi che inverte il periodare o si spezza con un singhiozzo soffocato, per diventare voce d’autore e di personaggi sempre alla ricerca di remoti paradisi che possano lenire il male di vivere. “Tutto tende al mare”, scriveva Gianfranco Calligarich in chiusura del suo primo romanzo (L’ultima estate in città), anche le razze estinte, ma qualcosa resta e si rigenera, riacquistando la legittimità di esistere. Le vicende dei Crusich e la Storia pubblica che li ha forgiati sono qui a provarlo; e nel romanzo di oggi si raccontano con suoni nuovi, con ritmi che riemergono dal sale di quelle acque anche grazie a uno stile che fa volare questo romanzo in alto, fin sotto la luna che rischiara il buio del mondo.

Giovanna Ioli

Poesia
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La traversata del Gobi
Stefano Carrai

Motivazioni della giuria

A cinque anni dalla pubblicazione del suo notevole libro di esordio Il tempo che non muore, apparso nel 2012 presso le novaresi edizioni Interlinea con una complice nota di Luigi Surdich, Stefano Carrai affida ora alla sua opera seconda, La traversata del Gobi (Torino, Aragno, 2017, postfazione di Niccolò Scaffai), i risultati di un esercizio inventivo di singolare intensità e maturità che naturalmente lo colloca tra le voci poetiche più originali dell’ultimo decennio.

Articolato in otto sezioni precedute dalla programmatica poesia In chiave («Ora per ricomporre i tuoi brandelli | anima mia | altro | che canzoniere | ora | mi ci vorrebbe un mago | della sutura | uno | che facesse miracoli»), La traversata del Gobi inscrive in una struttura compositiva di callida nitidezza gli specimina di una tesa operazione mnestica che, nominandoli, aspira a sottrarre alla irreparabile deriva del tempo situazioni, figure, immagini, luoghi di un universo privato e pubblico, intimo e sovrapersonale, ripercorso in obbedienza a due supremi paradigmi insieme ideologici e tecnici: Petrarca e Montale (non per caso, l’uno e l’altro, tra gli oggetti privilegiati del lavoro di Carrai italianista).

Poeta coltissimo, assistito da una prodigiosa memoria letteraria piuttosto dissimulata che esibita, Carrai si affranca tuttavia dall’orizzonte del citazionismo di impronta variamente postmoderna per la forza testimoniale e l’autenticità talvolta perfino disarmata con le quali si dispone a redigere un franto, sfaccettato referto esistenziale e autobiografico attento a non confondere (giusta la clausola di una capitale composizione come Biografie) il «sangue», «secco» o «nero» che sia, con l’«inchiostro», nel segno di una irreducibile fedeltà a quella turbata dialettica tra vissuto e formalizzazione del vissuto che nel Novecento italiano ha trovato i suoi esiti più alti nell’esperienza poetica di Umberto Saba (autore particolarmente caro a Carrai, che gli dedicato una recente, importante monografia) e che Giovanni Giudici ha mirabilmente riassunto nella formula «la vita in versi».

Franco Contorbia

Saggistica
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Lettori selvaggi
Giuseppe Montesano

Motivazioni della giuria

Jorge Luis Borges diceva che tra i suoi libri di svago preferiti c’erano le enciclopedie, con loro i resoconti di dottrine filosofiche e teologiche più avvincenti di qualsiasi romanzo. Da un’idea non troppo diversa sembra nascere anche Lettori selvaggi di Giuseppe Montesano – dove l’erudizione, l’aneddotica curiosa, persino il catalogo sono messi interamente al servizio del piacere della lettura.

Non è più il tempo delle enciclopedie scritte dai poeti e dai narratori, come la leggendaria “Britannica” di fine Ottocento, che arruolava quasi tutte le migliori penne dell’epoca. Oggi, piuttosto, è la stagione di Wikipedia: democratica, solo parzialmente inaffidabile, ma soprattutto stilisticamente sciatta, pensata come è per un consumo usa e getta. La summa di Montesano viene così a essere al tempo stesso una scommessa su un oggetto – la poesia, il romanzo, l’arte, la musica, nei quali si compendia per quasi 2000 pagine l’intera esperienza umana dal neolitico a oggi – ma anche una scommessa su un modo di parlare di quell’oggetto. Montesano lo fa con passione trascinante (lui direbbe “selvaggia”) e disciplinatissima prosa. Che sono, poi, due degli elementi che, da sempre, caratterizzano la letteratura e la saggistica che resta.

Gabriele Pedullà