Giallo d’Avola è una storia vera, è la vita che si fa romanzo, è un romanzo che svela una vita nella quale sono tutti vittime di un carcere ingiusto: quello inflitto dal tribunale e quello inflitto dalla fatalità di un’esistenza miserevole.
Una storia che sembra concepita dalla migliore fantasia pirandelliana, tanto paradossale quanto drammaticamente vera, fatta di odi implacabili, di vite spezzate tra l’indifferenza e il pregiudizio e consumate in catene carcerarie ingiuste.
Una storia dai toni del giallo, nero e rosso.
Giallo come la trama di un thriller giudiziario, come la luce accecante della terra di Sicilia, aspra e seducente.
Nero come le torbide passioni, protagoniste indiscusse della vicenda, come gli abiti di lutto delle donne della storia, soffocate nei loro sentimenti rancorosi.
Rosso come quelle macchie di sangue, unici indizi per un assassinio misterioso, come il vino di quelle terre che conforta la vita dei contadini, poveri diavoli condannati ad una miseria ai limiti dell’immaginazione.
Una storia che inizia la mattina del 6 ottobre 1954 e si sviluppa per quasi un decennio: un tempo enorme per la risoluzione di clamoroso errore giudiziario, un tempo determinante per il cambiamento sociale della nazione.
Ma mentre l’Italia corre nel vento dell’entusiasmo del dopoguerra, tocca con mano il boom economico, si affaccia al mondo del benessere e delle modernità, la Sicilia raccontata da Paolo Di Stefano sembra rimanere cristallizzata in canoni di vita che appartengono al secolo precedente. Con persone ed animali che convivono negli stessi ambienti.
Giallo d’Avola ci immerge in una dimensione senza tempo, restituendoci un affresco storico di straordinaria vivacità nel quale passioni e indifferenze, solidarietà e odi costituiscono l’unico contrappunto ad un mondo immoto di povertà impensabile, omertà e pregiudizi .
Annamaria Torroncelli