“Quello che sorprende in questo romanzo ‘storico’ – storico sì sulla linea italiana che va da Manzoni, a Nievo ai romanzi del troppo dimenticato Alianello, e cioè di una narrativa il cui sfondo è la preistoria e storia di un paese, tra Provvidenze, speranze e disillusioni – è l’astuzia, il candore con cui il giovane Alessandro Mari, alla sua prima sorprendente prova, riesce a reinventarla questa storia. Ho detto astuzia, astuzia letteraria, si intende, nel senso che questo suo è un romanzo storico degradato, un’epica rovesciata, ma non per questo meno umana e appassionante, anzi, con dei personaggi che attingono all’innocenza dei personaggi di Ermanno Olmi o all’ebetudine, al tocco di follia di quelli di Ermanno Cavazzoni, come il protagonista, Colombino, di mestiere “menamerda”. Epica degli umili, come insegna Manzoni, mi si può dire, meglio direi di iperrealismo o di relismo basso-mimetico, e ricordo il taglio antiretorico, da conocchiale rovesciato con cui è visto Verdi, musicista sconosciuto prima, poi, coi primi successi, sussiegoso. Devo stringere, costretto dai tempi di una premiazione conviviale. Alessandro Mari è piaciuto, è stato votato quasi all’unanimità, per la sua forza inventiva, la capacità di recuperare un genere considerato da sempre in estinzione, di recuperarlo e reinventarlo con gli strumenti e le strutture più aggiornate di certa narrativa del Novecento; ma soprattutto per la sua fiducia attestata dall’impegno nel futuro del romanzo, della narrativa, del libro, insomma, Perché infine è di questo che si parla.”.
Giorgio Piero Gelli
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