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Edizione 2012 - Premio Letterario Viareggio Rèpaci

Edizione 2012

Vincitori edizione

Narrativa
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Le parole perdute di Amelia Lynd
Nicola Gardini

Motivazioni della giuria

Nel suo romanzo Nicola Gardini dipinge un suggestivo ritratto della società italiana che comincia a smarrirsi alla vigilia di un decennio oscuro, gli anni Settanta, percorsi dalla violenza del terrorismo e dalla crisi economica e dunque destinati a lasciare un segno indelebile nella nostra storia come nella sensibilità dell’adolescente protagonista del romanzo, Chino. Il punto di vista molteplice e variegato scelto dall’autore è quello di un condominio, collocato a Milano, in via Icaro. Chino è il figlio della portinaia e percepisce la sua inferiorità sociale all’interno del microcosmo condominiale respirando però i sogni della mamma, che è certa di non voler essere portinaia per tutta la vita. La nuova inquilina Amelia Lynd, descritta da Chino come “un uccello nobile e variopinto” che arreca scompiglio nel pollaio-condominio governato dalle altre “galline” diventa lo strumento attraverso cui il ragazzo si avvicina alla cultura, alla meravigliosa arte delle parole e alla loro ricongiunzione col proprio significato.

Il libro è una metafora del volo, del desiderio di elevazione che non riesce, come nel mito di Icaro. Non riesce alle galline che non possono volare (le persone che abitano gli appartamenti di via Icaro, con le loro storie di ipocrisia, di egoismo e le ristrettezze di vedute); riuscirà forse a Chino che attraverso l’insegnamento di Amelia Lynd scopre l’amore e il potere seducente delle parole, che riportano in vita significati perduti e gli ideali.

Il romanzo di Gardini, mescolando gli ingredienti della commedia e della tragedia, è un invito per l’Italia di oggi a conoscere la propria lingua, a parlare volendo dire qualcosa, a ritrovare la corrispondenza tra le parole e il loro significato, corrispondenza messa in crisi dalla cultura di massa. Una esortazione a ricercare con forza il nucleo di verità che, come insegna Leopardi, è nelle parole; un invito a credere che la cultura ci possa ancora salvare.

Francesca Dini

Poesia
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Salva con nome
Antonella Anedda

Motivazioni della giuria

Una tessitura di parole, di forme versuali e di righe senza a capo, di scarne immagini, anzi, non una tessitura, ma qualcosa che ricorda il rammendo, o il ricamo, qualcosa di fatto con le mani, per adornare o riparare (per riparare e adornare) la fragilità, la precarietà della vita. Fili di versi, di parole e immagini che trapungono la stoffa sottile dell’assenza, dell’alterità, quella che ci separa così irrimediabilmente, ma per così poco, da chi non c’è più, ma anche dai nostri sogni, dal futuro. Parole limpide, in una costruzione poematica complessa, sempre sul confine del silenzio, in una lingua dove anche la frase più quotidiana è in forse, dove una nuova coscienza del passare del tempo porta a sentire nella veglia e nel sonno la presenza delle generazioni. Il nome allora, questa proprietà assoluta e tenue come il respiro, è lo strappo della lingua e dell’io, sempre ricucito dal rammendo della poesia. La striscia/comando, che nel computer dice salva con nome, diventa titolo di un libro in cui, ai margini della memoria, nei dettagli del perduto, si vorrebbe contrassegnare ogni istante dell’esistenza perché non passi invano.

Gian Mario Villalta

Saggistica
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I due carceri di Gramsci
Franco Lo Piparo

Motivazioni della giuria

Per generazioni di lettori e di militanti l’epistolario carcerario di Antonio Gramsci ha rappresentato qualcosa di più che un documento eccezionale della lotta contro il fascismo. Debitamente selezionate, le lettere del segretario del Partito comunista dal carcere di Mussolini delineavano soprattutto una biografia esemplare e un modello per le generazioni future. Il Premio Viareggio, nel 1947, giunse anche per questi motivi. Negli anni, però, la pubblicazione integrale del carteggio ha progressivamente complicato questo quadro sin troppo lineare. Diversi tasselli nella ricostruzione ufficiale non tornavano più: a poco a poco emergevano gli attriti con la cognata Tania, e attraverso di lei con il Partito comunista in esilio; venivano alla luce i condizionamenti della censura fascista; la stessa famiglia Schucht risultava lacerata al proprio interno, in un intreccio di passioni pubbliche e private. Alla luce di queste scoperte, quello che – nella sua presunta cristallina chiarezza – per un cinquantennio almeno era stato un testo chiave della pedagogia democratica, è diventato a poco a poco un corpus epistolare carico di interrogativi ancora irrisolti. Analizzando un pugno di lettere decisive, Franco Lo Piparo ci porta al centro del dramma umano e politico di Gramsci: impegnato a lottare per la propria liberazione, sempre più in rotta con il sistema stalinista, consapevole delle pressioni che l’apparato sovietico era in grado di esercitare su di lui attraverso la moglie e i figli rimasti a Mosca. La scrittura in codice di Gramsci per far giungere la sua voce fuori dai “due carceri” diventa così la metafora perfetta di un’età di ferro nella quale i singoli individui sono stati spesso sacrificati all’implacabile necessità della ragion di Stato. Sino a suggerire l’ipotesi – oggi non più così incredibile – dell’esistenza di un ulteriore quaderno del carcere fatto scomparire da Palmiro Togliatti nel dopoguerra per occultare il progressivo distanziamento di Gramsci dal mondo sovietico.

Gabriele Pedullà